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CORTE APPELLO DI TORINO – SEZ FAMIGLIA – N. 37/2021

CORTE APPELLO DI TORINO – SEZ FAMIGLIA – N. 37/2021
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Corte appello Torino sez. famiglia, 13/01/2021, (ud. 23/12/2020, dep. 13/01/2021), n.37

Intestazione

Fatto

MOTIVAZIONE IN FATTO E IN DIRITTO

Il Tribunale di Verbania, con decreto in data 8.8.2016, ingiungeva a TO. St. il pagamento della somma di Euro 15.091,01 oltre interessi e spese legali a favore della sig.ra CL. Lu. Ra., a titolo di rimborso della quota di competenza delle spese straordinarie effettuate dalla madre nell’interesse della figlia allora minore delle parti, AL. (n. (omissis…)).

Avverso il decreto proponeva opposizione il debitore ingiunto, sig. TO., che contestava di dover corrispondere le somme richieste in quanto relative a spese decise unilateralmente dalla madre della minore, senza averle previamente concordate con il padre, come invece previsto dai provvedimenti pronunciati in merito all’affidamento ed alla collocazione della figlia delle parti dal Tribunale per i Minorenni di Torino.

Riferiva quindi di aver già provveduto a versare la somma di Euro 1.014,91 quale rimborso pro quota di alcune delle spese richieste, pur ritenendo di non esservi obbligato per la mancata informazione preventiva circa il loro sostenimento ed il mancato accordo sulle stesse; allegava ancora che:

– aveva già provveduto a saldare le sedute della dott.ssa MI. dell’anno 2012 di propria competenza;

– le ricevute allegate dall’ opposta sub doc. da 8 a 13 bis erano relative ai costi di un medico libero professionista e quindi non erano rimborsabili, atteso che l’opposta avrebbe potuto rivolgersi al SSN;

– i costi delle analisi di laboratorio effettuate presso una struttura privata e di una visita specialistica evidenziate dai doc. da 14 a 18 erano relative a prestazioni effettuate senza averle concordate con il padre e per tale motivo illegittime;

– i doc. 19 e 20 erano ricevute di analisi di laboratorio non specificate e comunque effettuate senza previo accordo con il signor TO. e quindi illegittime;

– il doc. 23 si riferiva all’acquisto di occhiali da vista, che non era stato concordato con il padre;

– il doc. 24 (“fattura studio dott. Al. An.”) si riferiva ad una spesa per cui egli aveva già provveduto a versare la quota di propria competenza;

– gli scontrini di cui ai doc. 28, 29, 30, 51, 52, 53, 54 e 55 erano relativi a farmaci e parafarmaci privi di prescrizione medica ed, in parte, a spese generiche senza la presenza del codice fiscale della figlia e pertanto non vi era la prova che fossero spese effettuate nell’ interesse della figlia AL.;

– le ricevute di cui ai doc. da 31 a 48, erano relative alla iscrizione alla scuola privata Collegio Don Bosco, alla mensa e al dopo scuola: tali costi non erano rimborsabili in quanto relativi a scelte adottate unilateralmente dalla madre di AL. (l’ iscrizione alla scuola privata e il dopo scuola) ed in quanto già ricompresi nel mantenimento ordinario (mensa scolastica);

– l’ iscrizione di AL. alla scuola di Danza veniva effettuata dalla mamma di AL. senza un preventivo accordo con il padre e questi non era quindi tenuto a concorrere nelle relative spese.

La convenuta opposta si costituiva in giudizio e rilevava che con un primo provvedimento in data 21.12.2006 il Tribunale dei Minorenni di Torino aveva disposto che il TO., oltre a versare un contributo di mantenimento mensile per la figlia di Euro 500,00, dovesse versare integralmente le spese della scuola materna e il “50% delle spese straordinarie mediche e del tempo libero, da concordare e documentare”. Con successivo provvedimento in data 6.10.2010 lo stesso Tribunale per i Minorenni aveva affidato la minore in via esclusiva alla madre e disposto che ove era indicato “spese di scuola materna” dovesse intendersi “spese scolastiche”. Precisava quindi di essere stata costretta ad agire nei confronti del TO. già in due precedenti occasioni, con la proposizione di analoghi ricorsi per decreto ingiuntivo, in esito ai quali il padre aveva quindi versato le spese dovute; ribadiva inoltre la necessità delle spese effettuate, anche riconducibili alla patologia di cui era affetta la figlia delle parti, come le sedute di psicoterapia settimanali; anche l’iscrizione alla scuola privata era da ricondursi alle patologie certificate ed alle difficoltà relazionali della figlia, che non poteva essere inserita in una classe formata da numerosi alunni.

Chiedeva quindi il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale di Verbania, all’esito del giudizio di primo grado, così statuiva:

“revoca il decreto ingiuntivo n. 532/2016, emesso dal Tribunale di Verbania in data 08/08/2016;

condanna l’ attore opponente al pagamento in favore della parte convenuta opposta della somma complessiva di Euro 11.577,73, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

condanna l’ attore opponente al pagamento in favore della parte convenuta opposta delle spese del presente giudizio che si liquidano, operata la compensazione in misura del 50%, in complessivi Euro 2.417,50 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge”.

Il Tribunale riteneva quindi che l’opposizione del sig. TO. meritasse solo parziale accoglimento.

Assumeva che il genitore affidatario non avesse obbligo di concertazione delle spese scolastiche, mediche e sportive con l’altro genitore, e che gravasse quindi in capo a quest’ultimo l’obbligo di rimborso, qualora non avesse tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. In caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto a provvedere al rimborso delle spese sostenute dall’altro genitore, il giudice era tenuto solo a valutare se l’esborso fosse stato sostenuto nell’interesse della minore e misurare l’entità della spesa in relazione alle condizioni economiche dei genitori, venendo in rilievo “la valutazione dell’interesse del figlio piuttosto che la condivisione della spesa” (pag. 4 sentenza di primo grado); l’opposizione di un genitore non poteva infatti paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che avesse riguardo al figlio minore, specie se di rilevante interesse, spettando al giudice di verificare se la scelta adottata corrispondesse effettivamente all’interesse del figlio.

Nel caso di specie, poi, il Tribunale per i Minorenni, con l’ultimo provvedimento adottato, aveva affidato la figlia in via esclusiva alla madre.

Il Tribunale osservava quindi che “con riguardo alle spese di cui ai doc. da 6 a 20, 23, da 31 a 48 e da 57 a 71 di parte opposta, l’ opponente non contestava la riferibilità delle spese alla minore ma si limitava ad asserire la mancata preventiva concertazione”; le spese mediche, le rette scolastiche, il dopo scuola e le attività sportive erano sostenute dalla madre “nel superiore interesse di AL., in quanto finalizzate alla educazione ed allo sviluppo psico-fisico della minore” e nessun tempestivo e motivato dissenso era comunicato dal padre; anche le spese di psicoterapia della figlia con la dott.ssa MI. erano da versare da parte del padre, in quanto anticipate dalla madre.

L’opposizione era invece accolta: in relazione alle spese odontoiatriche di cui al doc. 24 della creditrice opposta, in quanto già versate dal padre; per la somma di Euro 341,17 (somma in parte rinunciata dalla sig.ra CL.), in quanto documentata da ricevute non riconducibili con certezza alla minore; per le somme richieste a titolo di rimborso della mensa scolastica, in quanto voce già rientrante nel mantenimento ordinario; tali spese, del complessivo importo di Euro 3.513,28 (di cui Euro 1.041,91 versate dall’opponente TO. dopo la notifica del decreto ingiuntivo) erano detratte dall’importo recato dal decreto ingiuntivo (Euro 15.091,01), e la residua somma, pari a Euro 11.577,73, era quindi posta a carico dell’attore in opposizione.

Avverso la sentenza proponeva tempestivo appello il sig. TO., che deduceva tre motivi di censura.

Con il primo motivo si doleva della erronea interpretazione “del concetto di “affidamento esclusivo” derivante dalla omessa analisi della statuizione del Tribunale per i Minorenni di Torino del 21/12/2006 che impone al sig. To. di versare per il mantenimento della figlia il 50% delle spese straordinarie mediche e del tempo libero, da concordare e documentare e quindi sulla erronea statuizione secondo cui nell’affidamento esclusivo non incombe sul genitore affidatario un obbligo di concordare le scelte di maggiore interesse per il minore e quantomeno informare preventivamente l’altro genitore riguardo alle spese straordinarie riguardanti tali scelte”. Anche il genitore affidatario esclusivo del figlio minore aveva infatti l’obbligo di concordare le decisioni di maggiore interesse del figlio e tale doveva ritenersi essere quantomeno la scelta di iscrivere AL. ad una scuola privata, dopo anni di frequentazione di scuola pubblica; nello specifico, poi, il primo provvedimento del Tribunale per i Minorenni (in data 21.12.2006, che aveva disposto l’affidamento condiviso della figlia ad entrambi i genitori) aveva previsto che le spese straordinarie dovessero essere “concordate e documentate” fra i genitori, ed tale disposizione era stata confermata anche dal provvedimento successivo (in data 6.12.2010), che affidava la minore in via esclusiva alla madre.

Con il secondo motivo lamentava l’erronea motivazione “relativa alla mancanza di un tempestivo e motivato dissenso da parte del padre, non essendo stato considerato che le spese sono state sostenute senza previo avviso al padre stesso e che la richiesta di pagamento delle stesse mai é avvenuta antecedentemente al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, non avendo quindi mai il sig. To. ricevuto informazioni o documentazione in merito a spese da concordare e sostenere ed essendo quindi stato impossibile il dissenso. Sulla omessa analisi delle prove testimoniali dalle quali risulta che riguardo alla scelta di far frequentare una scuola privata alla figlia, il padre aveva articolato il proprio dissenso”. Secondo la tesi dell’impugnante, la creditrice opposta non aveva dato prova né di aver concordato le spese con il padre, né di avergliele comunicate; il padre non aveva quindi potuto esprimere alcun dissenso, in quanto non informato delle scelte operate dalla madre per la figlia.

Con il terzo motivo si doleva della omessa motivazione o motivazione apparente “riguardo alla circostanza che le varie spese straordinarie sarebbero state sostenute nell’interesse della minore, mancando del tutto gli elementi di fatto sulla base dei quali il Tribunale ha tratto il proprio “apparente” convincimento, essendosi limitato il Tribunale ad affermazioni di mero principio”, e contestava che detto intesse sussistesse: per le spese sostenute per il pediatra privato; per le analisi di laboratorio presso una struttura privata ed altre analisi di laboratorio non specificate; per le spese sostenute per visita allergologica e relativi tests; per le spese per l’acquisito di occhiali da vista, in assenza di prescrizione medica; per le spese relative all’iscrizione della figlia ad una scuola privata ed al dopo scuola, dopo che AL. aveva frequentato la scuola primaria, dalla seconda alla quinta, presso una scuola pubblica, e pur essendo emersa in giudizio prova che il padre avesse espresso, sul punto, il proprio dissenso.

La parte appellata sig.ra CL. si costituiva in giudizio e contestava tutte le censure avanzate; chiedeva quindi che l’impugnazione fosse dichiarata inammissibile, ovvero rigettata.

L’appello non é fondato e deve essere rigettato.

Occorre premettere che il Tribunale per i Minorenni pronunciava due successivi provvedimenti in merito alle condizioni relative all’affidamento e mantenimento della figlia delle parti, AL..

Con un primo decreto in data 21.12.2006 (doc. 1 fascicolo documenti fase monitoria), il Tribunale (pur dando atto, in motivazione, che le parti avevano concordato l’affidamento esclusivo della minore AL. alla madre) disponeva che la bambina fosse affidata in via condivisa ad entrambi i genitori, con collocazione abitativa prevalente presso la madre, e che il padre versasse, a titolo di contributo di mantenimento, la somma mensile di Euro 500, “più la totalità delle spese della scuola materna e il 50% delle spese straordinarie mediche e di tempo libero, da concordare e documentare”.

Nel successivo procedimento avanti al Tribunale per i Minorenni, conclusosi con decreto in data 6.12.2010 (doc. 3 fascicolo documenti fase monitoria), veniva esperita CTU sulla minore e sulle capacità genitoriali; il padre aveva infatti lamentato di essere “tenuto fuori” dalla vita della figlia e, secondo la sua tesi, le problematiche della minore segnalate dalla madre dovevano ricollegarsi “principalmente all’atteggiamento ossessivo della madre, eccessivamente carica di aspettative verso la figlia”.

La CTU espletata appurava che la minore si trovasse in una “situazione oggettiva di fragilità e di difficoltà”, essendo affetta da “autismo infantile per alcuni tratti emotivo relazionali; mancanza di interazione, comunicazione minima ed egocentrata, mancanza di armonia nella sfera cognitiva; il contatto con le proprie incapacità avvicina la bambina ad una angoscia per lei intollerabile che crea black out di pensiero con conseguente perdita di contatto con il contesto nel quale si trova ed ella viene sovrastata dall’impotenza disperante” ; era quindi “indispensabile” la prosecuzione della psicoterapia con la dott.ssa MI.; il padre appariva condizionato dalla conflittualità con la ex compagna, “emozione che prevaricava la sua relazione con la figlia”; nella relazione con AL., mostrava una condizione di “passività quasi catatonica”, e necessitava di acquisire “consapevolezza delle problematiche della figlia e di lavorare sulle rimozioni che egli tendeva a fare”.

Dopo il deposito della CTU, si verificava un episodio in esito al quale il padre interrompeva i rapporti con la figlia; nel giugno del 2010 la minore, mentre si trovava in auto con il padre e la nuova compagna di quest’ultimo, assisteva ad un litigio fra i due, in esito al quale il padre, sopraffatto dall’agitazione, aveva sbandato con l’autovettura ed era “andato sul marciapiede”; la bambina aveva riferito che si era messa le mani sulle orecchie per non sentire il litigio e che si era molto spaventata; la psicoterapeuta, dott.ssa MI., aveva quindi proposto che il padre incontrasse la minore alla presenza di un educatore, che potesse mediare nel rapporto padre/figlia, e la CTU aveva condiviso l’allarme della terapeuta; i genitori erano quindi sentiti dal Tribunale per i Minorenni e la madre aveva riferito che il padre, dopo l’episodio, aveva interrotto ogni contatto con la figlia, anche telefonico, e non aveva neppure accettato l’invito della figlia di presenziare “alla recita di danza”; la figlia chiedeva del padre “senza avere da lui alcun tipo di rimando” (aveva anche scritto in un tema: “caro papà, anche se non mi chiami più e non ci vediamo più, io ti voglio ancora bene”), e, dopo qualche tempo, aveva smesso di telefonare al padre, perché questi “regolarmente non rispondeva”; il padre dichiarava che dal momento che non si aveva fiducia in lui, “tanto da proporre … incontri protetti con la figlia”, egli preferiva “non vederla più per non danneggiarla con la sua presenza” e che sarebbe quindi stata la figlia, divenuta maggiorenne, a decidere se rivederlo o meno.

In tale quadro, nel dicembre 2010, il Tribunale per i Minorenni, a modifica del provvedimento del 21.12.2006, affidava la figlia AL. alla sola madre, dava atto “dell’interruzione di contatti fra padre e figlia per decisione del padre stesso” e disponeva che qualora il padre avrebbe manifestato il desiderio di riprendere i contatti con AL. egli avrebbe dovuto rivolgersi ai Servizi Sociali e di NPI per eventuali incontri in luogo neutro.

Quanto agli aspetti economici, il decreto disponeva: “conferma nel resto il predetto decreto per la parte economica con la precisazione che la dizione “spese per scuola materna” debba oggi intendersi “spese scolastiche”, disponendo che il padre ottemperi a quanto previsto”.

L’istruttoria ed il provvedimento del Tribunale minorile del 6.12.2010 riferiscono quindi del disconoscimento paterno delle difficoltà patologiche della figlia, che la ponevano in condizione di fragilità e quindi di necessità di particolare attenzione negli aspetti di accudimento, nonché della unilaterale decisione di tale genitore di interrompere, nel 2010, qualsiasi rapporto con la minore, nonostante le richieste di incontro della figlia, con ripresa di una certa regolarità di frequentazione padre /figlia solo dalla primavera 2015, come riferito in primo grado dallo stesso appellante.

Nel proprio atto di citazione a decreto ingiuntivo in data 8.9.2016 il sig. TO. riferiva quindi che (pagg. 4 e 5 atto di citazione di primo grado) i rapporti fra padre e figlia si fossero regolarizzati solo “dal mese di marzo 2015, dopo un periodo di estrema difficoltà”, che egli avesse tenuto la figlia durante il periodo estivo degli ultimi due anni (ovvero, del 2015 e del 2016) e che invece “durante la settimana” gli incontri erano impossibilitati “dal fatto che AL. esce da scuola alle 18.30 circa”.

Quanto esposto fornisce conferma di quanto sostenuto dalla madre creditrice, ovvero la lamentata “totale lontananza del padre da quelle che sono le problematiche della figlia”, che é documentato (cfr. doc. 75 parte convenuta opposta di primo grado, attestazione commissione medica per l’accertamento degli handicap in data 28.12.2016) sia stata riconosciuta portatrice di handicap ai sensi della legge 104/1992, per diagnosi di “sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico … Disturbo reattivo dell’attaccamento dell’infanzia”, con indicazione di “discrete capacità di base, capacità linguistiche e cognitive discrete”; conferisce fondatezza anche al rilievo materno secondo il quale se fosse stato necessario concordare ogni spesa per la figlia con il padre “ci si sarebbe trovati in uno stato di paralisi assoluta e tutte le conseguenze negative di un simile atteggiamento sarebbero ricadute su AL.” (pag. 5 comparsa di costituzione in appello); dà infine riscontro all’affermazione dell’appellata secondo la quale ogni comunicazione non solo fra padre e figlia, ma anche fra genitori si fosse interrotta per esclusiva volontà del padre, e che ella sempre tentò di mantenere un canale di comunicazione con l’ex compagno, ricevendo in “contropartita … solo … critiche e insulti” (pagg. 8 e 9 comparsa di costituzione in appello).

Poste tali premesse, e ribadito che la madre era genitore affidatario esclusivo della figlia AL. sin dal 2010, deve escludersi che la madre potesse essere sottoposta all’onere di una costante e preventiva consultazione del padre, ovvero al previo accordo con l’altro genitore, circa scelte da adottarsi per la figlia allora minore, produttive di oneri di spesa, e relative a spese mediche, scolastiche ordinarie (quali i libri o il doposcuola, attività della quale lo stesso padre era certamente informato, tanto che in atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo riferiva che la figlia era impegnata a scuola sino alle 18.30) e sportive – ricreative, quali il corso di danza (che la minore già frequentava nel 2010, quando i rapporti con il padre si erano interrotti ed egli non rispondeva all’invito della figlia a recarsi al saggio).

Tali spese, non attinendo alle “decisioni di maggiore interesse per i figli” che, a mente dell’art. 337 quater c.c. sono comunque adottate da entrambi i genitori anche in regime di affidamento esclusivo, potevano essere decise unilateralmente dalla madre affidataria, che aveva quindi diritto di ottenere il rimborso di esse per la quota spettante al padre; il debitore opponente non ha mai neppure allegato che esse fossero esorbitanti rispetto alle condizioni sociali ed economiche dei genitori, né ha provato di aver mai formalizzato, nonostante la pacifica conoscenza di alcune attività della minore (quali la danza ed il doposcuola) un motivato e formale dissenso. In ogni caso, anche tale eventuale dissenso (il cui onere probatorio incombeva sul sig. TO.) é del tutto superato dalla circostanza che il primo giudice abbia riconosciuto ed affermato che tali voci di spesa fossero frutto di scelte della madre esclusiva affidataria conformi e coerenti all’interesse della minore, con una valutazione che é pienamente condivisa dalla Corte.

In particolare, si osserva infatti ulteriormente che:

– Quanto al rimborso delle spese per il pediatra libero professionista (documenti da 8 a 13 bis all. a ricorso per d.i.): il sig. TO. non ha mai contestato quanto sostenuto dalla sig.ra CL., ovvero che la dott.ssa Cataldo fosse la pediatra della minore “sin dalla nascita” e che la scelta di rivolgersi ad un pediatra privato, comune ai due genitori durante la convivenza, fosse da ricondursi all’iniziale difficile interpretazione di alcuni atteggiamenti di AL., a cui solo successivamente era diagnosticata la forma di autismo; la bambina avrebbe un approccio “non semplice” con il mondo medico, una palese difficoltà a mutare le proprie abitudini, e avrebbe instaurato un rapporto sereno ed empatico con la dott.ssa Cataldo; già tali considerazioni renderebbero infondata la tesi paterna circa il difetto di prova relativa all’ “impossibilità di usufruire … del pediatra di base”; a ciò si aggiunga che dette spese, relative ad un arco temporale di quattro anni, e perlopiù risalenti al periodo in cui il padre neppure aveva un regolare rapporto di frequentazione con la figlia, sono del tutto congrue e non esorbitanti rispetto ad ordinari e periodici controlli medici, essendo relative a visite con cadenza che non superava, nel massimo, le tre volte all’anno;

– il rimborso delle spese mediche: per le analisi di laboratorio (documenti 14, 15, 16, 17, 17 bis e ter all. a ricorso per d.i.); per la visita allergologica ed i tests allergologici (doc. 18 d.i.); per “analisi di laboratorio non specificate” (doc. 19 e 20 del fascicolo monitorio); per l’acquisto degli occhiali da vista (doc. 23); analoghe considerazioni circa la congruità e la non esorbitanza rispetto alla ordinaria e normale vigilanza sulle condizioni di salute di una bambina valgono per tutte le spese mediche indicate e documentate, che riportano esami di laboratorio o visite con cadenza del tutto ordinaria; per l’anno 2013 risulta una sola prestazione, relativa al test sulle intolleranze alimentari del 23.4.2013 (doc. 14); per il 2014 risulta l’effettuazione di esami di laboratorio in data 4.7.2014 (doc. 19), ed in data 26.11.2014 (doc. 15); per l’anno 2015 risultano l’esame urine del 27.1.2015 (doc. 16) e l’effettuazione, in pari data del Breath test (doc. 17), nonché la visita allergologica del 9.4.15 (doc. 18) e esami di laboratorio del 8.6.2015 (doc. 20); nel 2016 la minore era sottoposta a visita chirurgica in data 8.1.2016 per sospetta appendicite (doc. 17 ter) ed effettuava, in pari data, gli esami di laboratorio (doc. 17 bis); tutte tali spese sono riferibili, senza ombra di dubbio, alla minore AL., essendo le ricevute o fatture emesse a suo nome; nessun rilievo può avere la circostanza che in due occasioni il laboratorio di analisi non abbia specificato partitamente le prestazioni rese a favore della piccola paziente (doc.ti 19 e 20 fascicolo monitorio); la scelta della madre di rivolgersi talvolta ad un laboratorio privato per tali prestazioni risulta insindacabile, posto che non é stato allegato, da parte del debitore opponente, che tale scelta fosse insostenibile in relazione alle condizioni economiche e sociali dei genitori, ovvero che dette prestazioni fossero offerte alle stesse condizioni, economiche e di tempi di effettuazione, dal servizio pubblico; anche la ricevuta degli occhiali é pacificamente emessa a nome della figlia AL., ed il padre non ha contrastato tale prova documentale con prova contraria;

– il rimborso del doposcuola (doc.ti da 41 a 48): tali documenti attengono alla frequentazione del doposcuola nell’anno 2012-2013 (quinta elementare), quando la minore frequentava una scuola pubblica; essa non era “decisione di maggiore interesse per i figli”, poteva quindi essere assunta dalla madre affidataria senza alcun previo accordo con il padre e deve ritenersi che essa corrispondesse ad esigenze di sostegno scolastico di AL.; sul punto non é stato provato un motivato dissenso da parte del padre, il quale, se davvero non era a conoscenza anche di tale scelta, o in tale periodo non aveva alcuna consuetudine con la figlia, o si disinteressava totalmente del suo percorso scolastico;

– il rimborso della scuola di danza (doc.ti da 57 a 71): dello svolgimento di tale attività da parte di AL., come già esposto, si riferiva già all’epoca della CTU espletata avanti al Tribunale minorile nell’anno 2010; il padre non può quindi sostenere di non esserne stato a conoscenza; in ogni caso, lo svolgimento di una attività sportiva- ricreativa da parte della figlia poteva essere deciso unilateralmente dalla madre e non può che ritenersi conforme alle esigenze di sviluppo psico fisico e relazionale della ragazzina, non avendo poi il sig. TO. né provato il proprio eventuale dissenso, né contestato di non poter sostenere il relativo esborso economico.

Quanto alle spese di psicoterapia presso la dott.ssa MI., si é già detto che nel corso del procedimento avanti al Tribunale dei Minori, la CTU incaricata concludeva che fosse “indispensabile”, per la minore, la prosecuzione delle sedute bisettimanali con la professionista che già in allora la seguiva; l’opponente non contestava infatti la loro conformità all’interesse della figlia, né sostiene di aver espresso il proprio dissenso, ma allegava che dette spese (spese per le sedute di quattro mensilità, ovvero settembre ed ottobre 2012, come da doc.to 6 del fascicolo monitorio, e novembre e dicembre 2012, doc. 7; ricevute dott.ssa MI. n. 58 del 7.12.2012 e n.ro 73 del 17.12.2012, intestate alla sig.ra CL. e già da questa pagate) competessero esclusivamente alla medesima in conformità di un accordo intervenuto fra le parti, secondo il quale “i genitori avrebbero provveduto all’integrale pagamento di periodi di sedute in via alternata (circa tre mesi ognuno); le ricevute prodotte da controparte riguardano i mesi da settembre a dicembre 2012 il cui costo era quindi a carico integrale della madre avendo il padre pagato le sedute relative ad aprile, maggio e giugno” (pag. 18 atto di citazione in appello).

La circostanza che l’onere di pagamento delle sedute da settembre a dicembre 2012 competesse alla sola sig.ra CL., in conformità del citato accordo che prevedeva l’alternanza dei pagamenti a carico dei genitori per “gruppi” di sedute di circa tre mesi, sarebbe confermata dal doc. n. 4 di parte appellante (documento che viene indicato come “contabile di un bonifico dallo stesso effettuato alla dott.ssa Mi. in data 12/2/2013 (…) a saldo di una ricevuta pro-forma del 31/12/2012 della dott.ssa Mi. stessa per Euro 721,81 ovvero per le attività svolte dell’anno 2012 a suo carico”) e dal doc. 5 della stessa parte (ricevuta dott.ssa MI. n. 2/2013 in data 13.2.2013 per Euro 721,81, relativa a “psicoterapia minore TO. AL. mesi di aprile/giugno 2012”); secondo la stessa tesi, la circostanza che la dott.ssa MI., escussa quale teste in primo grado, avesse dichiarato che solo “a far data dall’anno 2013” aveva intestato le proprie fatture in via alternata ai genitori (“due mesi al papà di AL. e due mesi alla mamma di AL.; le fatture venivano pagate dall’intestatario”) sarebbe stata frutto di una “palese confusione” della teste nel riferire l’anno a decorrere dal quale vigeva l’accordo di alternanza dei pagamenti fra le parti.

La tesi dell’appellante é smentita dagli stessi documenti prodotti da tale parte.

Come si é già detto, la dott.ssa MI. dichiarava che l’accordo dell’alternanza dei pagamenti era assunto fra le parti solo dall’anno 2013, e da tale dichiarazione si trae che esso non poteva quindi valere per la ricevuta azionata, relativa agli ultimi quattro mesi del 2012.

Il versamento effettuato dal TO. in data 12.2.2013, di cui al doc. 4 di parte appellante, nulla prova rispetto al presunto accordo dei genitori circa i pagamenti alternati; esso non aveva comunque certamente ad oggetto le ricevute della dott.ssa MI. azionata in via monitoria dalla madre, posto che detto pagamento si riferiva a diversa ricevuta fiscale della psicoterapeuta (“pro forma n. 86 del 31.12.2012”).

Per contro, proprio il doc. 3 del fascicolo dell’appellante (mail della dott.ssa MI. in data 28.1.2013), come rilevato da parte appellata, smentisce l’assunto di tale parte; la professionista in tale missiva, indirizzata al precedente difensore del TO., scriveva che per l’anno 2012 la quota del suo compenso mensile (pari a complessivi Euro 360 più bollo, per Euro 361,81 mensili) “andava divisa in due e spettava ad ogni genitore la quota mensile di 180 Euro al mese”; spiegava quindi che il TO. avrebbe dovuto versare 180 Euro per i mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 2012 (“180 per 4”) e che ella, “per comodità di fatturazione”, “raggruppava” le prestazioni “a mesi alterni”, fatturando due mesi a ciascun genitore, ovvero “marzo maggio alla madre e aprile giugno al padre (360 x 2)”; non corrisponde quindi al vero che il padre avesse pagato, in via esclusiva, le prestazioni della dott.ssa MI. da aprile a giugno, e che quelle dei mesi successivi spettassero quindi alla CL., posto che la ricevuta allegata sub doc. 5 ed intestata al TO., come da spiegazione della dott.ssa MI., é relativa alla sola quota del 50% di tali prestazioni, avendo la psicoterapeuta fatturato le proprie prestazioni a ciascun genitore, per la quota della metà; l’importo di tale ricevuta (Euro 721,81) non corrisponde infatti a tre mesi di sedute, come sostenuto dal padre (posto che il costo mensile di Euro 360, per tre mensilità, oltre bollo, corrisponderebbe alla somma di Euro 1.081,81), ma esso corrisponde, alternativamente, a due mesi di sedute (ovvero 360 per due mensilità, oltre bollo, avendo la professionista fatturato “per comodità” due mesi alla madre e due mesi al padre: “aprile giugno al padre”) ovvero alla quota del padre per i quattro mesi da marzo a giugno (Euro 180 x 4, oltre bollo); proprio la mail della dott.ssa MI. e tale ricevuta, prodotte dall’appellante, provano che per l’anno 2012 la ripartizione delle spese della psicoterapeuta avvenisse su base mensile (Euro 180 mensili per ciascun genitore) e pertanto anche le spese per i mesi da settembre a dicembre 2012 andavano poste a carico di entrambi i genitori, in pari misura.

Merita infine una analisi separata il rimborso delle spese relative all’iscrizione ed alla frequenza di scuola privata; diversamente da tutte le altre voci oggetto di richiesta da parte della madre, quella relativa alla scuola privata é frutto di una scelta che – anche in regime di affidamento esclusivo – dovrebbe essere adottata da entrambi i genitori, a mente del già richiamato art. 337 quater, III comma, c.c..

Dalle spese complessive richieste (doc.ti da 31 a 40 fascicolo monitorio) sono già state espunte dal Tribunale quelle relative alla mensa, correttamente ritenute dal primo giudice rientranti nel contributo di mantenimento mensile.

Quelle ancora oggetto di disputa sono relative agli anni scolastici 2013/2014, 2014/2015, 2015/2016, ovvero agli anni di scuola media di AL., che aveva invece frequentato, per concorde affermazione delle parti, le classi di scuola primaria dalla seconda alla quinta presso un istituto pubblico; per l’asilo nido e la prima elementare é stato invece provato che la bambina avesse frequentato istituti privati; tale circostanza non é stata contestata specificamente dal TO., emerge dalla deposizione del teste FI., ed il fatto che AL. fosse stata iscritta alla scuola pubblica solo a partire dalla classe seconda si trae altresì dalla CTU esperita avanti al Tribunale per i Minorenni (ove si legge, pag. 5, che il padre, nel marzo 2009, chiedeva il cambio di scuola per i costi sostenuti e che, dopo “una scelta difficile, AL. veniva inserita in una piccola scuola pubblica con insegnanti collaborative”; AL. all’epoca, oltre a effettuare sedute di psicoterapia con la dott.ssa MI. e di logopedia, fruiva altresì di un “insegnante che a casa le fa fare i compiti”, interventi che già in allora il padre non riteneva necessari).

I genitori, quindi, anche in regime di convivenza avevano, per certo tempo, scelto per la figlia un istituto privato; la scelta di un istituto privato per la scuola media é stata dalla madre rivendicata alla luce delle difficoltà che AL. avrebbe avuto nell’inserimento in una scuola pubblica, in una classe formata da numerosi alunni, ove non avrebbe potuto essere seguita, anche nello svolgimento dei compiti, come la sua conclamata patologia rende necessario; la madre assume quindi che anche sotto tale aspetto il padre appaia inconsapevole e negante rispetto alle difficoltà relazionali e scolastiche della figlia; rileva che il TO. mai abbia manifestato una ragionata e formale opposizione alla frequentazione dell’istituto Don Bosco, e che anche la riferita, eccessiva onerosità di tale scelta sia rimasta allegazione generica ed indimostrata, nulla avendo il padre allegato o provato in merito alle proprie condizioni economiche.

La Corte ritiene che anche su tale punto debba essere confermata la decisione assunta dal giudice di primo grado, che é conforme alla giurisprudenza di legittimità che anche in relazione alle scelte di maggiore interesse relative ai figli, in caso di disaccordo dei genitori, rimette alla valutazione del giudice la decisione circa la rispondenza di tale scelta, e della spesa che da essa trae origine, all’interesse del minore (cfr. Cass. n. 16175 del 30.7.2015, che richiama anche Cass. n. 19607/2011, che ha affermato che “Non é configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di arredamento della cameretta, stage per l’apprendimento della lingua inglese), trattandosi di decisione “di maggiore interesse” per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. Ne consegue che, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice é tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori”; ancora, Cass. 27.10.2017, n. 25698, secondo la quale “In materia di rimborso delle spese straordinarie sostenute per il figlio minore, la condizione del “previo accordo” tra i genitori divorziati non può essere qualificata come meramente potestativa, non essendo rimessa al mero arbitrio della parte in cui favore é predisposta, ma ad essa deve riconoscersi natura giuridica di condizione potestativa semplice o impropria e quindi incompatibile con la finzione di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 c.c., sicché , in mancanza dell’accordo tra le parti, é necessario l’accertamento giudiziale. (Nel caso di specie, avendo la ex moglie allegato che l’ex coniuge si era reso irraggiungibile non rendendo possibile l’accordo, la S.C. ha statuito che il riconoscimento del diritto al rimborso dipendeva da una valutazione discrezionale, da rimettersi al giudice, circa la rispondenza e necessità delle spese in relazione all’interesse del figlio)”.

La conformità di tale scelta all’interesse della minore, valutata giudizialmente, prescinde e supera l’argomento dell’appellante, secondo il quale il Tribunale non avrebbe tenuto conto che era emersa prova (per le dichiarazioni rese dai testi CA. e FR.) del suo dissenso circa la scelta della scuola privata, posto che tale valutazione giudiziale é rimessa al giudice proprio in conseguenza del disaccordo delle parti; il mancato, previo accordo su una scelta relativa ai figli, anche se attinente a questioni di “maggiore interesse”, non può quindi essere sanzionato con l’irripetibilità della relativa spesa, qualora la scelta sia giudizialmente reputata nell’interesse dei figli.

Il Tribunale argomentava quindi che (pag. 5) “non sono meritevoli di accoglimento le contestazioni relative al rimborso delle rette scolastiche, per il dopo scuola e per le attività sportive, che venivano sostenute dall’opposta nel superiore interesse di AL., in quanto finalizzate alla educazione ed allo sviluppo psico-fisico della minore” e tale affermazione é condivisa dal Collegio, alla luce delle particolari necessità educative e di accudimento scolastico di cui la minore necessitava per le patologie di cui é affetta; si rileva ancora, a sostegno della correttezza della decisione assunta, che quando la minore si apprestava ad iniziare il ciclo di scuola media (anno scolastico 2013/2014) il padre, che nel 2010 aveva del tutto interrotto i rapporti con AL. per una scelta che appare ingiustificata e pregiudizievole alla figlia, non aveva ancora ripreso con la stessa una regolare frequentazione, essendosi tali rapporti “regolarizzati”, “dopo un periodo di estrema difficoltà”, soltanto dal marzo 2015, come dal medesimo riferito (pag. 5 atto di citazione in opposizione); é quindi più che verosimile che tale rifiuto del padre di incontrare la figlia rendesse oltremodo difficile, per la madre esclusiva affidataria, concordare con l’altro genitore le scelte scolastiche di AL. per il ciclo di scuola media; in ogni caso, ripresi regolari rapporti con la bambina nel corso della seconda media (anno scolastico 2014/2015), e quindi alla metà del percorso scolastico triennale, egli (che aveva comunque il diritto/dovere di vigilare sulla istruzione ed educazione di AL., come disposto dall’art. 337 quater, ultimo comma, ultimo periodo, c.c.) non assunse mai alcuna iniziativa per contrastare o mutare la frequentazione della minore di un istituto privato.

La sentenza di primo grado deve quindi essere integralmente confermata.

Le spese di lite seguono la soccombenza e devono essere poste a carico di parte appellante.

Esse sono liquidate avuto riferimento alle cause d’appello contenziose di valore compreso fra Euro 5.200,01 ed Euro 26.000,00, e pertanto in Euro 1.080,00 per la fase di studio, Euro 877,00 per la fase introduttiva e Euro 1.820,00 per la fase decisionale, non essendo stata svolta istruttoria, e pertanto in Euro 3.777,00 per onorari, oltre rimborso forfettario 15%, iva e cpa di legge.

Si deve dare atto della sussistenza dell’obbligo di cui all’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, così come inserito dall’art. 1, commi 17 e 18, legge 24 dicembre 2012 n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di Stabilità 2013) per il versamento dell’ulteriore contributo unificato a carico dell’appellante sig. TO..

PQM

P.Q.M.

La Corte di Appello di Torino, Sezione per i Minorenni e la Famiglia

visti gli artt. 279 e 339 e ss. c.p.c.,

Rigetta l’appello proposto dal sig. TO. St. avverso la sentenza del Tribunale di Verbania in data 12.1.2020;

dichiara tenuto e condanna l’appellante sig. TO. St. alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio a favore della parte appellata sig.ra CL. Lu. Ra., spese che liquida in complessivi Euro 3.777, oltre rimborso forfettario 15%, iva e cpa di legge;

Dà atto della sussistenza dell’obbligo di cui all’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, così come inserito dall‘art. 1, commi 17 e 18, legge 24 dicembre 2012 n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di Stabilità 2013) per il versamento dell’ulteriore contributo unificato a carico dell’appellante Sig. TO.

Così deciso in data 23.12.2020 nella Camera di Consiglio della Sezione Famiglia della Corte di Appello di Torino.

 

 

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